La montagna delle visioni. Giovanni Segantini. La nascita del mito

Mostra

La galleria civica «Giovanni Segantini» di Arco inaugura sabato 25 ottobre con inizio alle ore 18 la mostra «La montagna delle visioni. Giovanni Segantini. La nascita del mito», a cura di Niccolò D'Agati e con Mirella Carbone, direttrice artistica del Segantini Museum di St. Moritz. Il nuovo progetto espositivo si propone di indagare, attraverso opere e documenti, l’eredità dell’arte segantiniana e la nascita di quello che si può definire un vero e proprio mito attorno al pittore. Dedicando una attenzione specifica agli anni immediatamente successivi la morte di Segantini, il percorso della mostra si concentra sulle diversificate espressioni sia dell’influsso dell’arte segantiniana nella produzione artistica successiva, sia di quelle opere che assurgono a emblema della celebrazione e del culto della memoria e dell’eredità del grande artista trentino. Per la prima volta sarà esposto ad Arco l'iconico e famosissimo autoritratto a carboncino e oro che è diventato il riferimento più importante e seguito dell'iconografia di Segantini.

La mostra è organizzata su quattro sezioni;  la prima, dal titolo «Un palpito de la Terra: omaggi monumentali, Leonardo Bistolfi e Segantini», sarà dedicata, con la collaborazione del Museo Civico di Casale Monferrato, agli omaggi monumentali che furono dedicati a Segantini  nell’immediatezza della morte dell’artista. Come la città di Arco diede l’avvio al progetto dell’erezione di un monumento dedicato a Segantini, che sarebbe poi culminato nella commissione della scultura realizzata da Leonardo Bistolfi e inaugurata il 24 ottobre del 1909 nei giardini pubblici della città natale dell’artista, sempre a Bistolfi rimonta l’esecuzione dell’altro omaggio monumentale dedicato all’artista –oggi al Segantini Museum di St. Moritz– la celebre «Alpe» o «La bellezza liberata dalla materia». La ricostruzione della storia di questi monumenti, da annoverarsi tra i capolavori della plastica bistolfiana, procederà attraverso l’esposizione dei gessi e dei bozzetti preparatori, compresi i rilievi realizzati per ornare il basamento dell’Alpe concepita, in origine, come cenotafio per il cimitero di Maloja.

Nella seconda sezione, «Quegli che vede dall’alto. Autoritratti e ritratti», il focus è sull’iconografia dell’artista. L’immagine di Segantini, con la sua caratteristica apparenza fisica, fin dagli esordi costituisce un elemento identitario fortissimo nella narrazione della critica: uno dei primi resoconti sulla pittura segantiniana a opera di Luigi Chirtani consegna un ritratto del giovanissimo pittore dove gli elementi caratteristici sono individuati nella folta capigliatura, sicché l’artista appare «nervoso, livido, nericcio come un calabrese» ( L. Archinti [L. Chirtani], Studi d’artista, «Rivista Minima», X, f. 5, maggio 1880, pp. 390-394). Col procedere del suo percorso artistico e con l’accrescersi della sua fama, soprattutto in relazione al carattere sostanzialmente indipendente e anti-accademico riconosciuto alla sua arte e alla sua individualità, si registrano già i primi ritratti dell’artista. Nel 1885 è Emilio Quadrelli, che espone a Brera un busto di Segantini, mentre Paul Troubetzkoy realizza nel 1896, quando Segantini è di passaggio a Milano, una scultura che, riportano alcuni critici del tempo, fu realizzata in due ore di seduta e nata dalla folgorazione di Troubezkoy dinanzi all’amico colto di sorpresa nella sua abituale posa di riposo. La costruzione della propria immagine, del resto, sembra rappresentare un elemento non secondario nella comunicazione del sé che Segantini stesso perseguiva e che appare in tutta la sua compiutezza negli autoritratti estremi realizzati nella metà degli anni Novanta. Lavori nei quali Segantini rappresentava se stesso come –citando Servaes– un apostolo, una figura a metà tra un re assiro e la figura di Cristo, offrendo di sé una visione ben distante dal reale e che esprimeva, semmai, quella dell’«inneren Menschen», di un uomo interiore, la cui conoscenza era preclusa agli altri. Attraverso un percorso che dagli autoritratti segantiniani passa ai ritratti dell’artista, da quelli scultorei di Bistolfi e Troubetzkoy a quelli pittorici di Fornara e Gallina ispirati a celebri fotografie come quella di Angelo Klainguti, il percorso attorno all’immagine segantiniana si chiude sull’intensissima serie di Giovanni Giacometti dedicata a Segantini ritratto sul letto di morte.

La terza parte è invece intitolata «L’alta pace. I luoghi di segantiniani».
«Ora finalmente sto per realizzare il mio sogno! Fra breve andrò nell’Engadina e il mio pennello si poserà sulla tela prima che in altro luogo là sullo Schafberg dove il Maestro creava il suo gran quadro. Desiderosi di proseguire il cammino là dove i nostri maggiori ristettero». Così nel giugno del 1906 appuntava nei suoi taccuini Giuseppe Pellizza da Volpedo, in procinto di intraprendere un vero e proprio pellegrinaggio nei luoghi segantiniani dell’alta Engadina. Il pittore visita le montagne abitate dal Maestro, osserva luoghi ritratti nei dipinti e riflette sulla poesia della montagna che apre, nella sua stessa arte, nuovi percorsi di ricerca e di sviluppo. Quello del pellegrinaggio nei luoghi dell’ultima parte della vita di Segantini è un vero e proprio topos del culto segantiniano: non solo Pellizza, ma altri artisti affascinati e colpiti dalle opere del pittore si recano in Engadina per visitare i luoghi della sua vita. Pellizza, Archimede Bresciani da Gazoldo, Cesare Maggi (che, folgorato dall’opera di Segantini, si trasferirà per qualche tempo a Maloja), Alberto Falchetti, Attilio Lasta e altri, con le loro opere permetteranno di ricostruire le diverse sfaccettature di questa riflessione sui luoghi della vita e della pittura segantiniana. Accanto a queste opere, in questa sezione saranno presentate alcune opere, pittoriche e fotografiche, dedicate al cimitero di Maloja, dove Segantini fu sepolto. Più che l’attenzione ai dati geografici o paesaggistici, in questi lavori emerge un senso di religiosità panteista: la tomba di Segantini diviene l’emblema di una unione tra l’uomo e la natura, dove le montagne, la luce delle Alpi e i colori dei tramonti evocano il senso di una fusione cosmica in cui il tempo mortale viene riassorbito dall’eternità della natura. Nascono così gli intensi paesaggi dedicati al piccolo cimitero realizzati da Bresciani da Gazoldo e da Benvenuto Benvenuti, che recuperava i motivi delle fotografie di Albert Steiner, le quali affidano alla luce il senso ultimo dell’eternità dell’arte segantiniana.
Infine, «Questo mio sogno ideale. Nel solco di Segantini» propone uno sguardo sulla pittura influenzata dalla memoria di Segantini. Alla sua morte, che giunse improvvisa a spezzare una ricerca ancora in piena evoluzione, Segantini non aveva né lasciava allievi diretti in senso stretto. Se il fenomeno del segantinismo –di quegli artisti, cioè, che si rifacevano in maniera più o meno originale ai tratti più emblematici della tecnica e dei motivi trattati dal pittore– rappresenta una parte consistente dell’eredità della pittura segantiniana, in mostra si vuole porre soprattutto l’attenzione sugli artisti che, Segantini vivente, ebbero con lui un rapporto diretto di collaborazione e di scambio. L’ultima sezione del percorso, quindi, è dedicata in modo specifico ai due pittori che collaborarono insieme a Segantini e che ebbero con lui un rapporto serrato di scambio umano e artistico: Giovanni Giacometti e Carlo Fornara. Attraverso alcune opere rimontanti agli anni del contatto diretto tra questi pittori e Segantini –dall’autunno del 1894 per Giacometti e dal 1898 per Fornara– il percorso evidenzia l’influenza prima ancora ideale più che semplicemente stilistica che Segantini ebbe nella produzione di questi artisti. A conclusione una parte di questa sezione è dedicata alla produzione, sia pittorica sia grafica, dei figli di Segantini che si dedicarono alla pittura, Mario e Gottardo, e che in maniera diversa raccolsero e svilupparono l’eredità artistica, nonché il culto, dell’arte del loro padre.